Emergenza
Un corpo è un corpo. Così l'arto inferiore che si perde perché si è calpestato una mina. La guerra prende il sopravvento e stravolge la vita della vittima. Se pensiamo che la gamba è il calco di un arto di un bambino o di un ragazzino, l'atroce dolore ci avvolge lasciandoci sconvolti, e il volto straripa nella disperazione. Chi guarda deve provare e sentire la stessa sensazione penosa, diffusa o localizzata, di quella sofferenza fisica, dove la perdita del colore in schizzi si disperde, perché vi è un dolore diverso, più infimo, più nascosto che urla e pian piano prende forza. Esso è lo stato o motivo di sofferenza spirituale, perché provocato da una realtà ineluttabile che colpisce o condiziona duramente il corso della vita. Il dolore che avvertiamo quali spettatori inermi che fissano quel volto di lamine, quella maschera di sofferenza, domina il cosmo e l'esistenza umana, e s'identifica col male e con il dispiacere che corrode la psiche della vittima. Esso si cela nella memoria e si nutre del tempo, ma è un passo alla leggerezza, un passo alla libertà, un passo alla salvezza ed è la consapevolezza dell'accadimento, il grido di protesta, che segna lo smascheramento di queste mine, che scava nella terra anche a mani nude, e porta alla luce la verità degli ordigni genitrici della afflizione. Assaporare quel tormento psichico e quel male fisico ci introduce alla verità e alla coscienza che la guerra è incoscienza, che strugge in mille frammenti non solo un arto, un corpo, ma l'animo straziante di un qualsiasi bambino, ragazzo, uomo o donna.