Monet

"...Fiori di terra e anche fiori di acqua, queste tenere ninfee che il Maestro ha dipinto in tele sublimi ... sono come un primo, delizioso abbozzo di vita." Marcel Proust Quando Giverny divenne un paradiso terrestre attraverso i colori e le fantasie tra acqua e luce, cielo ed ombra, le pennellate soavi di Monet ricomposero quel caleidoscopio di colori naturali, difficilmente riproducibili, perché la luce stessa calda, cuoceva e rimodellava il plasma delle tonalità, dando nuova vita, linfa. Così, mai più furono presenti quei rosa dei fiori, i viola, i celesti che si bagnavano di lucentezza e madidi delle acque dello stagno che apparivano leggiadri, trasparenti e vitrei, ma al contempo caldi, sinuosi e inviolabili. Monet portò il candore della luce viva come bianco verginea ceramica, in un volto che racconta seppur silente, in uno sguardo cieco ma che immagina oltre, un Omero dell'arte del colore, della rappresentazione che soffia e vibra sulle ninfee sull'acqua. Così l'artista Christophe Mourey celebra quel viola degli iris sbircia che il maestro dipinse, in un liquido sangue che si scioglie sul capo, cingendolo come sommo vate, che attende tra martirio e santità, che la luce bianca prenda forma attraverso quello stesso viola naturale, irriproducibile e che solo con l'estro e la luce, la passione e la natura può germogliare come ninfea vibrante su uno stagno paradisiaco. Questi fiori si pongono come contatto tra la realtà fenomenica e quella metafisica, o per ricondurre la questione in termini artistici, tra l'impressionismo e la pittura astratta, così il volto apre all'immaginifica azione che pone al centro la natura dell'esser umano, fragile ninfea che può vibrare per il vento, che può muoversi sull'acqua, vincere piogge di stati d'animo ma che nessun altro può cancellare nella memoria dei colori, togliergli vitalità, sia essa eterna e liquida rimanendo nel cuore di chi l'osserva, la vive, la immagina e la rimembra.

di Marco Fiore